Il fatto non costituisce reato, non c’era il dolo. In questo modo si è conclusa in appello una vicenda giudiziaria che, a seguito del processo in primo grado, aveva prodotto due effetti: la condanna per un dipendente comunale di Capo d’Orlando ed un dipendente delle poste ed anche il licenziamento per un altro dipendente delle poste.
Oggetto della contestazione la notifica per posta di un atto giudiziario al congiunto di un dipendente comunale. Quest’ultimo ha apposto la firma del destinatario al suo posto, come se pertanto l’atto fosse stato notificato regolarmente. Da qui l’accusa di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico. Inizia il processo primo grado al tribunale di Patti. Il giudice monocratico Rita Sergi condannò il dipendente comunale, difeso dall’avvocato Francesco Cacciola e i due dipendenti delle poste, difesi dagli avvocati Antonio De Francesco e Alessandro Nespola ad otto mesi di reclusione. Un quarto dipendente delle poste, difeso dall’avvocato Alessandro Nespola, già in primo grado, fu assolto sempre dal reato di falso. L’accusa, dal canto suo, in riferimento ai tre imputati, riuscì a dimostrare che il parente del dipendente comunale aveva firmato la ricevuta dell’atto, apponendovi la firma del proprio congiunto, cui l’atto era indirizzato, attestando falsamente, unitamente al portalettere che aveva consegnato l’atto, che la notificazione era avvenuta a mani proprie dell’effettivo destinatario. A seguito della condanna, le Poste licenziarono il proprio dipendente ancora in servizio, l’altro invece era andato in pensione. La Corte d’Appello di Messina ha adesso assolto tutti e tre gli imputati; non c’era il dolo, quindi il fatto non costituisce reato. Sono state accolte le richieste dei difensori. Adesso in conseguenza dell’assoluzione, il dipendente del poste che è stato licenziato dovrebbe essere riammesso in servizio.