La Cassazione ha chiuso il caso sul maxi sequestro di beni effettuato dal Gico della guardia di finanza nel 2015 ai danni di Pietro Mollica, imprenditore di Gioiosa Marea; a suo tempo furono messi i sigilli su un patrimonio di oltre 135 milioni di euro.
Nel 2017 il Tribunale di Roma dispose la confisca, confermata nel 2018 dalla Corte d’Appello. Ora la Suprema Corte ha rigettato tutti i ricorsi e la confisca è definitiva; alla base del provvedimento, la contestazione a carico di Pietro Mollica: bancarotta fraudolenta. L’inchiesta fu avviata dalla procura di Roma; lo accusava di essere al centro di una bancarotta per decine milioni di euro, attraverso una serie di aziende che gestiva, servendosi anche di prestanome, votata all’acquisizione di commesse per appalti in tutta Italia. Da li finirono sotto chiave aziende con sedi a Roma e Venezia, quaranta beni immobili tra Messina, Roma e Varese, quote societarie, undici tra automobili e moto, rapporti bancari, postali, assicurativi e azioni. Il tutto per un totale di 135 milioni di euro. L’inchiesta avrebbe ricostruito vicende che si sarebbero verificate tra il 2003 ed il 2013, legate al crack di un consorzio romano, che si era aggiudicato svariati appalti pubblici nazionali, tra cui lavori della Regione Calabria e Sicilia, aeroporti, Anas e alcuni comuni per quasi 120milioni di euro. Nel 2015 Mollica era stato arrestato a Roma dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’operazione “Variante Inattesa”; di seguito il tribunale del riesame aveva accolto il ricorso presentato dagli avvocati Alberto Gullino e Filippo Dinacci e aveva disposto la scarcerazione.