Lanciata dopo vari test di prova lo scorso 15 giugno, l’app Immuni è stata scaricata in Italia da 3.352.902 persone.
Nelle intenzioni delle istituzioni sanitarie e del Governo, l’applicazione per smartphone dovrebbe contribuire a ridurre il rischio di nuovi contagi, ma il passaggio sta avvenendo a rilento. Soprattutto se si considera che, per funzionare correttamente e tracciare i dati in maniera scientifica, dovrebbe essere scaricata da almeno il 60% della popolazione.
Il governo confida che nelle prossime settimane l’applicazione sarà scaricata da un maggior numero di persone, anche se finora è mancata una campagna di promozione e una comunicazione adeguata. Il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri però è critico. “Secondo alcuni studi sarebbero stati disposti a scaricarla sino a 23 milioni, ma dove stanno? Speriamo che nei prossimi giorni lo facciano”.
“Siamo all’inizio, sono passati pochi giorni da quando è finito il periodo di sperimentazione, dobbiamo ancora entrare nel vivo della campagna di comunicazione”. Così il ministro dell’Innovazione, Paola Pisano, a ‘Eta Beta’ su Rai Radio. “In questo momento molto sta a ciascuno di noi”, e Immuni, sottolinea la ministra, “è uno strumento fondamentale per limitare la diffusione del Coronavirus”.
Il tema di cui si è discusso più estesamente, riguardo Immuni, ma in generale le app di contact tracing, è stato quello della privacy.
Nelle prime schermate di Immuni compaiono una serie di rassicurazioni, che spiegano che la tecnologia utilizzata dall’app – Bluetooth Low Energy – non raccoglie nome e dati personali degli utenti, e non permette quindi di risalire all’identità dell’utente né ad altre informazioni, per esempio la sua posizione e i suoi spostamenti.
Con la ricerca “La privacy di essere Immuni”, PHD Italia – agenzia media e di comunicazione di Omnicom Media Group – ha indagato il valore dei dati personali e della protezione del loro valore in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo. Secondo i dati raccolti il 69% degli intervistati si dichiara consapevole del valore commerciale delle proprie informazioni private, il 58% è comunque disponibile a cederli alle istituzioni per una maggiore tutela della salute propria e degli altri.
Percentuale che scenderebbe però al 39% se questa cessione fosse imposta. Certo perché una app possa avere successo ci deve essere una soglia minima di partecipazione del 60% e bisogna inoltre tener conto del fatto che solo il 73% della popolazione utilizza uno smartphone.
E’ chiaro che l’App Immuni abbia dunque bisogno di una forte campagna di comunicazione, che riesca a spiegare o quanto meno a chiarire tutti i dubbi dei cittadini italiani in tema di privacy, altrimenti risulterà perfettamente inutile.