Dai primi accertamenti sul Dna arriva la conferma: l’operatore socio-sanitario di 37 anni fermato il 7 ottobre scorso e arrestato poi il giorno successivo, è il padre del bambino che la giovane disabile violentata porta in grembo.
I fatti risalgono al periodo del lockdown, quando la giovane, totalmente incapace di intendere e volere, era ospite dell’Oasi di Troina, al tempo dichiarata zona rossa a causa dei numerosi casi di Covid-19 all’interno della struttura. La giovane, quando venne consumata la violenza, era anche positiva al virus.
L’uomo, reo confesso, marito e padre di un bambino, all’epoca della violenza lavorava come operatore sanitario nella struttura.
L’esame di comparazione del materiale biologico dell’indagato e del feto è stato disposto dal procuratore Massimo Palmeri e dai sostituti Stefania Leonte e Orazio Longo.
Il Dna del nascituro è stato estrapolato grazie a una moderna tecnica attraverso esami eseguiti sul sangue della madre e ha dato una compatibilità del 99,9%.
Sul neonato sarà successivamente compiuta una successiva estrazione del Dna per una ulteriore conferma.
La Procura ha acquisito inoltre le perizie di una neuropsichiatra e di una psicologa che hanno confermato quanto dichiarato dai testimoni alla polizia: la totale incapacità della vittima a dare il proprio consenso a un rapporto sessuale, poiché rispondente con difficoltà ai bisogni primari.
Si fa strada inoltre l’ipotesi che “l’indagato abbia reiterato nel tempo il reato di violenza sessuale”. Sono in corso indagini per stabilire se l’uomo abbia avuto in affidamento altre donne nell’Oasi di Enna.
Al termine dell’analisi dei dati raccolti dalla squadra mobile, la Procura valuterà se disporre accertamenti medici su eventuali altre ospiti della struttura per verificare se siano state violentate.