La Commissione antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana oggi ha approvato la
relazione conclusiva sui beni sequestrati e confiscati alla mafia in Sicilia. Otto mesi di lavoro e settantuno audizioni “Il rischio è che lo Stato, e con lui l’intera comunità nazionale,
perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni
con la legge che porta il loro nome: i numeri sono impietosi e parlano
di un tasso altissimo di mortalità delle aziende confiscate e una
percentuale ancora insufficiente di riuso dei beni immobili
confiscati”. Spiega il presidente della commissione Claudio Fava.
“Le testimonianze raccolte, i dati analizzati, gli approfondimenti svolti da questa Commissione non lasciano dubbi: la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino ad ora non c’è stato. La sensazione è che la norma, nella sua limpida astrattezza, abbia rappresentato l’alibi per troppi: siccome questo dice (o tace) la legge, dunque solo questo è ciò che ci compete fare.”
“Il destino dell’Agenzia va ripensato. In punta di fatto, non solo di diritto”. Queste le conclusioni della relazione di 191 pagine sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa, presentata in videoconferenza dal relatore e presidente Claudio Fava. Otto mesi di indagine, 51 sedute parlamentari e 71 audizioni. Per l’Antimafia “attendere concorsi che non si svolgono per completare la pianta organica (e nel frattempo, come ci è stato detto, riempirla con funzionari ‘comandati’, spesso solo per poter ottenere un trasferimento verso città più gradite) richiama precise responsabilità di governo (di tutti i governi!)”. “Assumere la lotta alle mafie come priorità ma poi continuare a destinare all’Agenzia, che è il motore propulsivo di questa legge ed uno strumento fondamentale nella strategia di valorizzazione degli assets confiscati, pochi uomini, pochi mezzi, poche professionalità e poca attenzione è una scelta politica miope e incomprensibile – si legge nel documento approvato dalla Commissione parlamentare – Ritenere che la guida dell’Agenzia debba essere sempre e solo demandata a un prefetto, rinunziando alla possibilità di trovare profili professionali più ritagliati sulle urgenze e gli obiettivi che la legge affida all’Anbsc, è una prassi politica inadeguata alle sfide in campo e peraltro contrasta con lo spirito della riforma del 2017 che ha innovato sul punto prevedendo la possibilità di nominare il direttore anche tra magistrati o dirigenti dell’Agenzia del demanio”.