Il sorriso di Marta Danisi, morta insieme al suo fidanzato Alberto Fanfani ed ad altre 41 persone nel crollo del Ponte Morandi il 14 agosto 2018, è rimasto nella memoria di tutti i santagatesi. Marta, 29 anni nata e cresciuta a S. Agata di Militello stava attraversando il ponte con Alberto, di ritorno dall’aeroporto dove aveva accompagnato la madre che era andata a trovarla. Si era trasferita ad Alessandria, per lavorare come infermiera all’Ospedale Santi Antonio e Biagio.
Tre anni dopo quella terribile vigilia di ferragosto la ferita che ha sconvolto familiari e amici della giovane coppia, è ancora aperta. Dopo il disastro le lunghe e complesse indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Genova, concluse soltanto ad aprile di quest’anno, hanno fatto emergere presunte responsabilità sulla gestione delle manutenzioni a carico di Spea e Aspi, le società del Gruppo Atlantia, concessionaria delle Autostrade Italiane. E non solo per il viadotto Polcevera, ma anche per tante altre infrastrutture in tutto il Paese. Dopo tre anni quelle responsabilità devono ancora essere accertate in giudizio.
L’udienza preliminare per le 59 persone indagate inizierà soltanto il 15 ottobre prossimo. Le accuse, a vario titolo, sono di crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, omicidio stradale, omicidio colposo plurimo, falso, omissione d’atti d’ufficio e rimozione dolosa di dispositivi per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Intanto le lancette degli orologi corrono per la prescrizione dei reati, mentre quelle della vita dei familiari delle vittime sono ferme per sempre alle 11.36 del 14 agosto 2018.
Ieri a Genova tre fiaccolate per ricordarle, mentre oggi si è svolta la cerimonia di commemorazione, con la messa dalla parrocchia della Certosa e la deposizione delle Corone della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei familiari delle Vittime, presso la Radura della Memoria alla presenza delle autorità. Alle 11,36, ora esatta in cui il Ponte è crollato, un minuto di silenzio, rotto solo dal suono di tutte le sirene delle navi in porto e delle Campane della Diocesi. Un silenzio che, però, non deve e non può scendere sulle responsabilità di quel crollo.