Negli ultimi 10 anni aveva consegnato alla famiglia Rapisarda 700.000 euro, a fronte di un credito, illecitamente vantato, di 1 milione, ma dopo un’ulteriore richiesta estorsiva di 700.000 euro, dilazionati in 5 anni attraverso il pagamento di una somma che arrivava fino a 3.000 euro settimanali, nello scorso mese di febbraio un imprenditore di Paternò ha deciso di denunciare.
Dopo tre mesi di indagini i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 4 soggetti, accusati di concorso in estorsione aggravata dal “metodo mafioso”.
Nel corso delle indagini, coordinate dalla DDA etnea e condotte dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Paternò è stata riscontrata un’estorsione aggravata, condotta mediante minacce derivanti dall’appartenenza alla famiglia di cosa nostra etnea “Santapaola Ercolano”. A gestirla, per mano della moglie 60enne Santa Corso e dei figli Giuseppe e Valerio, 34 e 30 anni, per gli inquirenti era Giovanni Rapisarda, classe 1958 – detto “Sansuneddu”, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un noto imprenditore catanese commesso nel 1993.
Giovanni Rapisarda, sebbene detenuto, impartiva le disposizioni dal carcere attraverso i colloqui con i suoi familiari o lettere dal tono intimidatorio indirizzate alla vittima, gestore di una ditta di Belpasso operante nel settore dell’estrazione e lavorazione di pietra lavica.
Erano frequenti le visite dei fratelli Rapisarda nella sede della ditta: è stato proprio durante una di quelle visite che i Carabinieri di Paternò hanno arrestato in flagranza di reato Giuseppe Rapisarda e la madre Santa Corso, i quali, dopo essersi recati presso la sede della ditta di Belpasso, avevano ricevuto dalla vittima una busta contenente 2.000 euro, quale rata della richiesta estorsiva. Nel corso di uno degli ultimi incontri, Giuseppe Rapisarda avrebbe palesato esplicitamente la richiesta, specificando che quei soldi gli erano dovuti in quanto la cava della vittima “era la nostra cosa, (..), perché oramai non è che è un giorno, dodici anni, tredici anni e dobbiamo chiudere sta partita… vedi tu cosa vuoi fare!” proferendo altresì nei confronti della vittima frasi del seguente tenore, “(..) che io te lo avevo detto.. mio padre il suo piacere è questo, perché qui era la cosa sua”.
Gli arrestati sono associati presso le case circondariali di Grosseto e Catania Bicocca.