Le era stato contestato di aver coltivato nel fondo di sua proprietà, nel territorio di Alcara Li Fusi, una pianta di cannabis alta circa un metro; per questo era stata rinviata a giudizio, ma il processo a suo carico si è concluso con un verdetto di assoluzione.
I fatti sono accaduti nell’estate del 2020, dopo che i carabinieri hanno rinvenuto, occultata tra gli alberi di ulivo, una pianta di cannabis che fu subito sottoposta a sequestro. Fu indagata e poi imputata una donna di 68 anni, perché la pianta era stata rinvenuta sul suo fondo.
Dagli accertamenti del Ris di Messina è emerso che dalla pianta si sarebbero potute ricavare 93 dosi singole e che il principio attivo era superiore alle soglie previste dalla legge.
In dibattimento, sentiti i carabinieri e dunque i testi dell’accusa e poi anche quelli della difesa, è stato evidenziato, su esplicita richiesta dell’avvocato Nunziatina Armeli, difensore dell’imputata, che il terreno in realtà fosse in uso ad un prossimo congiunto della signora e che quest’ultimo si recava ogni giorno sui luoghi.
Al contrario la donna rinviata a giudizio non era mai stata notata dai carabinieri durante i controlli e anche sul terreno in cui si è proceduto prima alla perquisizione e poi al rinvenimento della pianta.
Inoltre il fondo presentava una recinzione precaria ed era facilmente accessibile a chiunque. La difesa ha anche provato in dibattimento che sul terreno non vi erano capannoni, lampade alogene, ventilatori, predisposti per la coltivazione della cannabis e lo smercio dello stupefacente, smontando la tesi della pubblica accusa, tanto che già nel corso della requisitoria il pubblico ministero Carlo Giorgianni ha chiesto l’assoluzione.
Viste le risultanze processuali emerse in dibattimento, il giudice monocratico del tribunale di Patti Giovanna Ceccon, accogliendo le richieste dell’avvocato Nunziatina Armeli ha disposto l’assoluzione per la donna perché il fatto non sussiste.