Il principe nero di Castelvetrano, prediletto del capo dei capi Totò Riina, unico custode dei segreti delle stragi di mafia rimasto ancora in vita, non è più un fantasma. Matteo Messina Denaro, boss della mafia trapanese, considerato la primula rossa della criminalità organizzata e l’ultimo capo di quella cupola retta da Totò Riina che decretò stagione stragista contro lo Stato, era latitante da 30 anni. E’ finito nella mani dei Carabinieri del Ros mentre stava andando in una clinica privata di Palermo, per fare delle terapie.
Figlio di don Ciccio, vecchio capomafia del mandamento di Castelvetrano e storico alleato dei corleonesi di Riina, Messina Denaro, classe 1962, si guadagna il soprannome di “u siccu” per la sua magrezza. Nel 1989 viene denunciato per associazione mafiosa. Si pensa che sia coinvolto nella faida che ha insanguinato Partanna tra i clan Accardo e gli Ingoglia in cui verrà ucciso Nicolç Atria, marito di Piera Aiello e fratello di Rita, storiche prime testimoni di giustizia. Nel 1991 si rende responsabile della morte di Nicola Consales, proprietario di un albergo a Triscina, solo perché si sarebbe lamentato dell’amante di Messina Denaro, sua dipendente. Quando il padre diventa latitante, nel ’90, Messina Denaro ha ampia delega di rappresentanza del mandamento. Spietato, gelido, sanguinario: nel 1992 è tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, insofferente all’autorità di Riina. Pochi giorni dopo, “U siccu” avrebbe partecipato anche all’uccisione della compagna di Milazzo, incinta di tre mesi.
Sparisce a partire dall’estate 1993, dopo una vacanza a Forte dei Marmi, con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Da quel momento diventa fautore della strategia della sommersione e del “non fari scrusciu” che gli garantisce di tirare le fila del suo impero economico: business della droga e infiltrazione nei finanziamenti pubblici nei settori di commercio, industria, eolico e fotovoltaico, e persino sanità privata. A garantire il suo potere schiere di teste di legno e fiancheggiatori della sua latitanza. Condannato all’ergastolo per decine di omicidi, per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma e per la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino, che fu strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per molti Messina Denaro non si sarebbe mai allontanato dalla Sicilia. Una videocamera di sorveglianza lo riprende nel 2009 mentre transita nelle campagne dell’agrigentino, a poche centinaia di metri dalla casa del boss Pietro Campo, a bordo di un Suv. Il video verrà reso pubblico nell’autunno del 2021.