venerdì, Novembre 22, 2024

Patti: diffamazione, verdetto ribaltato in appello

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Volantini con didascalie infamanti che alludevano a fatti inesistenti ed inventati. Buste anonime altrettanto infamanti inviate a familiari, amici e locali pubblici, nelle quali si invitava all’emarginazione dal contesto sociale. Una vicenda scabrosa che ha avuto origine su Facebook e all’epoca dei fatti, suscitò molto scalpore e che, dopo il processo di primo grado, adesso ha avuto un epilogo alla corte d’appello di Messina.

Secondo la contestazione della pubblica accusa, un’imprenditrice del settore nautico di Piraino avrebbe estrapolato alcuni frame da un video, diffuso fraudolentemente su Facebook, che ritraeva un 51enne pattese, molto conosciuto nell’hinterland per meriti sportivi, realizzando volantini, diffusi in grandi quantità ed in più occasioni, per le strade di Patti e di diversi comuni della fascia tirrenica.

I volantini erano corredati di un’infamante didascalia, che alludeva a presunte deviazioni sessuali del tutto inesistenti ed inventate. La stessa accusata, avrebbe, inoltre, congegnato una lunga serie di lettere anonime, contenenti le fotografie ricavate dal video, sempre corredate della diffamante didascalia e con alcuni pizzini all’interno, che invitavano ad emarginare l’uomo dal contesto sociale.

Le buste anonime contenenti le fotografie erano state inviate alla madre del 51enne, alla sorella, alla sua cerchia di amici, ai principali locali pubblici del paese e, addirittura anche al sindaco della città di Patti. Una devastante campagna diffamatoria che aveva arrecato all’uomo, oltre ad un gravissimo danno di immagine ed alla reputazione, anche seri problemi psicologici, poiché quanto era stato scritto ai suoi danni aveva lo scopo di fare terra bruciata attorno a lui, diffondendo un sospetto ignobile, sebbene destituito di ogni fondamento.

In primo grado il tribunale di Patti, con sentenza dell’aprile dello scorso anno, aveva assolto la donna dai fatti contestati; la Procura della Repubblica di Patti, stimolata anche dalla istanza avanzata dalle parti civili costituite nel processo –  oltre alla vittima, anche la madre e la sorella, tutte assistite dall’avvocato Andrea Pirri, aveva proposto appello.

Alcuni giorni fa c’è stato il verdetto di secondo grado che ha ribaltato quello emesso dal tribunale di Patti; infatti la corte di appello di Messina – presidente Giacobello, a latere Lino e De Rose, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’imprenditrice a sei mesi di reclusione – pena sospesa, subordinatamente al pagamento di una provvisionale e poi al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede ed al pagamento delle spese di costituzione di entrambi i gradi di giudizio in favore delle parti civili.

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