Scende a 24 anni di carcere la richiesta di condanna della Procura per Antonio De Pace, unico imputato del femminicidio della giovane Lorena Quaranta, uccisa nel marzo 2020 nella loro abitazione di Furci Siculo.
L’infermiere calabrese era stato condannato all’ergastolo sia in primo che secondo grado a Messina, ma la Corte di Cassazione, lo scorso giugno ha cancellato la sentenza di condanna al carcere a vita, rimandando il processo alla Corte d’appello di Reggio Calabria, indicando ai giudici di riconsiderare le attenuanti tra le quali quello dello “stress da covid”.
La decisione della Cassazione aveva indignato familiari e centri anti violenza, che leggono nelle motivazioni un inquietante segnale per la tenuta del reato di femminicidio. E proprio il disagio legato alla pandemia, che De Pace avrebbe patito, potrebbe rappresentare quell’attenuante che gli era stata negata in Appello. Le attenuanti generiche, se riconosciute, annullerebbero di fatto l’ergastolo. La sentenza è prevista per il prossimo 28 novembre.
Il delitto di Lorena avvenne il 31 marzo 2020, in pieno lockdown, a Furci Siculo. Era stato lo stesso De Pace a chiamare i Carabinieri quella notte. Lorena era stata trovata senza vita, uccisa al culmine di una lite. Dopo aver colpito Lorena alla fronte con un oggetto, tramortendola, De Pace l’aveva immobilizzata e poi atrocemente soffocata. Per spiegare il raptus che lo aveva colto, l’infermiere aveva dato una “giustificazione” agghiacciante: uno stato d’ansia provocato dalla paura di essere stato contagiato dal coronavirus, cosa poi rivelatasi assolutamente infondata.
Dopo averla uccisa, tentò il suicidio tagliandosi le vene, riuscendo però a procurarsi solo ferite superficiali. Poi la chiamata ai carabinieri. Lorena, originaria di Favara, frequentava l’ultimo anno della facoltà di Medicina e presto si sarebbe laureata. L’Università di Messina la proclamò dottoressa in Medicina e Chirurgia, con la votazione di 110 e lode. Una vita spezzata troppo presto.