mercoledì, Aprile 16, 2025

Messina, 63enne santagiolese assolto in appello dall’accusa di calunnia

tribunale riesame messina

Assolto in appello dal reato di calunnia perché il fatto non sussiste. Così la prima sezione penale della corte d’Appello di Messina, presidente Francesco Tripodi a latere Michele Alajmo e Carmine De Rose nella causa che aveva visto imputato Antonino Giuffrè, 63 anni di Sant’Angelo di Brolo, condannato in primo grado dal Tribunale di Patti a 1 anno e 4 mesi di reclusione. I fatti oggetto del procedimento si riferiscono al 2017, quando il Giuffrè, aveva dichiarato alle forze dell’ordine che aveva dato, ad un proprio parente, con diversi prestiti, 50 mila euro sotto la minaccia che in caso di diniego si sarebbe rivolto ad “amici della malavita” e quindi subendo un’estorsione.

La persona offesa aveva avuto notizia delle dichiarazioni per un accesso agli atti da parte del figlio. Durante le fasi del dibattimento di primo grado furono ascoltati sia la madre dell’imputato, che i familiari della parte offesa, che nel frattempo era deceduto, tra loro per altro imparentati. Emergeva, inoltre, una situazione di conflitto tra i due, legata ad un fondo e ad una servitù di passaggio. Al termine del processo di primo grado, il giudice del Tribunale di Patti Vincenzo Mandanici, aveva condannato Giuffrè per calunnia ad un anno e 4 mesi di reclusione pena sospesa. Il 63enne, assistito dall’avvocato Giuseppe Mancuso, ha proposto appello alla sentenza, adducendo, tra le motivazioni, come il giudice di prime cure avesse ritenuto affidabili le prove, anche testimoniali, a favore di parte offesa e non anche quelle a favore dell’imputato, da cui si presumeva l’esistenza sia dei rapporti di prestito che le minacce subite dal Giuffrè.

La Corte d’appello ha rilevato, dal canto suo, come le dichiarazioni rese dal Giuffrè non avrebbero avuto alcun seguito per la persona offesa, a carico della quale non fu avviato un procedimento penale per estorsione, ma erano state rese nel corso di un’audizione informale ad opera della Polizia Giudiziaria per chiarire alcuni contrasti tra parenti per ragioni di vicinato. Inoltre la persona offesa, come rilevato dall’avvocato Mancuso nei motivi di appello, aveva pregiudizi di polizia proprio in ragione di una presunta estorsione, pertanto le dichiarazioni del Giuffrè sulla minacciosità del parente apparivano plausibili. Nel corso del processo non si sarebbe chiarito in modo inequivocabile se i fatti fossero avvenuti o meno e quindi non vi era ragionevole certezza dell’innocenza della persona offesa, presupposto necessario per configurare il reato di calunnia. Per questo motivo la corte messinese, riformando la sentenza di primo grado, ha assolto con formula piena Antonino Giuffrè perché il fatto non sussiste.

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