Tra pochi giorni si svolgeranno gli esami di Stato in Italia. Un appuntamento annuale che fa vibrare il cuore di centinaia di migliaia di alunni, che quest’anno si svolgerà in forma ridotta a causa del coronavirus.
Un docente siciliano, professore di diritto in un istituto tecnico di Sant’Agata di Militello, ha deciso però di scrivere una lettera al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina per rappresentarle lo sconforto di fronte alle soluzioni adottate per la fine della scuola.
Di seguito il testo integrale.
“Lucia Azzolina,
sono un professore di diritto. Insegno in un istituto tecnico di Sant’Agata di Militello, in provincia di Messina. Le scrivo per rappresentarle lo sconforto che provo dinanzi alle risoluzioni da lei adottate, in qualità di ministra dell’istruzione, per l’imminente maturità, oltre che per le operazioni di scrutinio di fine anno.
Secondo le sue disposizioni, in occasione degli esami di stato, pur essendo obbligati a svolgere la nostra professione in un clima di ansia e paura, alimentato quotidianamente dal governo di cui lei fa parte e dalla commissione tecnico scientifica dallo stesso incaricata, noi docenti, all’ingresso a scuola, dovremmo firmare una dichiarazione nella quale asseriamo di non avere la febbre, né i sintomi del Covid-19, di non essere stati in quarantena, né di essere stati a contatto con soggetti positivi negli ultimi 14 giorni. Liberando lei e la pletora di scienziati e burocrati che ha partorito questo obbrobrio da ogni responsabilità. Dovremmo ancora indossare le mascherine, ininterrottamente, per non meno di cinque o sei ore, con i gravi rischi che ciò comporta per la nostra salute. Senza sottovalutare il regime da ambulatorio medico imposto ai candidati. Che potranno presentarsi non prima dei 15 minuti precedenti l’esame, con un solo accompagnatore, e che dovranno volatilizzarsi all’istante, una volta conclusa la prova.
E lei questa la chiama scuola? Questi li chiama esami di stato? Svolti in un’atmosfera da disaster movie di cui non si comprendono il motivo e l’utilità.
È già sbagliato stabilire ufficialmente le regole del gioco il 16 maggio, appena un mese prima degli esami. È altrettanto sbagliato distogliere i docenti dalla loro missione, la didattica, l’insegnamento, per sommergerli di moduli e scartoffie somministrati con tempistiche indegne perfino di una pubblica amministrazione inefficiente: Pai, Pia… sembra di essere in una storia di Walt Disney. Mentre è solo un incubo, che coincide con il colpo di grazia all’istruzione e al suo significato. Sbagliato, ancora, è impartire le istruzioni su come svolgere gli adempimenti poco prima della scadenza. L’idea che noi addetti ai lavori ne ricaviamo è di una pressoché totale assenza di organizzazione e di visione d’insieme.
Il tutto frutto della necessità di fare propaganda a ogni costo. Perché, vede, le alternative erano due. E molto semplici. O l’emergenza è finita e, allora, è possibile svolgere gli esami di stato in presenza, in totale sicurezza e fiducia. O non lo è e, allora, chi rappresenta le istituzioni ha il sacro dovere di evitare simili pantomime, con conseguenti rischi, anche di natura psicologica, per lavoratori e studenti. Tertium non datur. E siccome il ministero della salute e l’Istituto superiore di sanità dicono che esistono ancora dei focolai in quasi tutta Italia. Siccome l’Organizzazione mondiale della sanità, che a Roma gode di grande credito malgrado le tante cantonate prese, non fa altro che ammonire sui rischi di un’emergenza che ritiene tutt’altro che archiviata, mi dica lei cosa dovremmo pensare noi comuni mortali. Che ci esponete deliberatamente a un pericolo che voi stessi dichiarate ancora attuale?
Lucia Azzolina, non si alimenta un clima di terrore perenne per poi contraddirsi nei fatti e tirare fuori dal cilindro un esame di stato in presenza con prescrizioni da reparto malattie infettive. Ci vuole coerenza. Ci vuole chiarezza. Soprattutto, un leader, quale un ministro dovrebbe essere, dovrebbe mettere i propri uomini e le proprie donne nelle condizioni di rendere al meglio. Non al peggio delle proprie possibilità.
Ha letto le pubblicazioni scientifiche sulle conseguenze dello stress che può scaturire da una simile situazione, oltre che dalla didattica a distanza, soprattutto tenendo conto che la classe insegnante italiana è la più anziana d’Europa? Ha idea di cosa significa convivere con la paura alimentata dagli allarmi che diffondete ininterrottamente da mesi, portandosela perfino in classe? Siete riusciti addirittura a prevedere, in vista del rientro a scuola, a settembre, l’obbligo della mascherina per i bambini che, in base a studi effettuati da più che autorevoli scienziati, come Sara Gandini, direttore di ricerca dell’Istituto europeo di oncologia, non sono predisposti, salvo eccezioni, a contrarre il virus. Ancora meno a diffonderlo.
Lei è una docente e mi meraviglia apprendere che questa è la sua concezione di scuola. Un esamificio, nel migliore dei casi, nel quale, a dispetto delle reali esigenze dei nostri ragazzi, mandare in scena a tutti i costi un’esibizione pubblica di efficientismo. Un lager, o un laboratorio di esperimenti sociologici ed epidemiologici, nel peggiore.
Lucia Azzolina, lo scorso dicembre lei ha rilevato il ministero da un suo collega che ha avuto il coraggio, rarissimo in politica, di dimettersi perché la scuola nella quale credeva era stata calpestata dal governo del quale faceva parte. Esattamente come avevano fatto tutti i governi precedenti, quelli che lei dice di disprezzare. A questo punto, le chiedo dove sono le differenze. E, mi creda, non è la Settimana enigmistica.
Questa è la scuola nella quale lei crede?
Non so se avrà mai la possibilità di lavorare come dirigente scolastica, grazie agli esiti di quel concorso al quale ha deciso di partecipare, mettendosi in competizione con altri docenti, nonostante la veste di deputata, di componente della commissione cultura. Trascurando che, se è prevista un’indennità per i parlamentari, è proprio per compensare eventuali rinunce fatte a causa del ruolo istituzionale. Ruolo liberamente scelto e non certo ordinato dal medico. “Il trattamento economico dei parlamentari, nel complesso, è dunque concepito come condizione dell’esercizio indipendente di una fondamentale funzione costituzionale e, al tempo stesso, come garanzia che tutti i cittadini, senza riguardo al patrimonio o al reddito, possano realmente concorrere alla elezione delle Camere. Tale trattamento, di cui è parte essenziale anche la pensione spettante dopo la cessazione dal mandato, è finalizzato a creare le condizioni per cui il parlamentare possa impegnarsi nelle sue funzioni – a scapito del lavoro o di altre attività economiche – senza dover dipendere da altri soggetti, incluso il partito politico cui appartiene”. Lo dice il sito istituzionale online del Senato della Repubblica. E lei, che è laureata in legge, docente, dirigente scolastica in pectore, deputata e ministra, questa materia dovrebbe ben conoscerla.
Non so nemmeno se mai tornerà in classe o preferirà insistere nella carriera politica. Né so quale sia, oggettivamente, il male minore.
Quel che so è che, oggi, lei ha una grande opportunità: quella di fare la cosa giusta. Di fare il bene di persone, spesso non più giovani, i docenti italiani, che tra pochi giorni dovranno sottoporsi a uno stress psico – fisico inaccettabile in una società ritenuta civile. Di fare il bene degli studenti, affinché non abbiano come ultimo ricordo della scuola quello di un laboratorio di esami clinici gestito in tempo di guerra, ma quello di un luogo di apprendimento, di arricchimento, di partecipazione, di gioia, di crescita, di condivisione. Un luogo di cultura.
Quel che so è che, oggi, lei ha questa grande opportunità. E la sta gettando letteralmente alle ortiche.
Fabio Bonasera”