Capimafia e boss della Stidda sono coinvolti nell’inchiesta della Dda di Palermo che oggi ha portato a 23 fermi. L’indagine colpisce le famiglie mafiose agrigentine e trapanesi ed è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.
Nell’inchiesta da cui è emerso Matteo Messina Denaro, il capomafia trapanese latitante da 28 anni, è ancora riconosciuto come l’unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra.
Tra i destinatari dei provvedimenti ci sono sei capi Mafia, tre esponenti della Stidda e due esponenti delle forze dell’ordine, oltre allo stesso Matteo Messina Denaro e a un’avvocatessa. La mega indagine del Ros ha svelato come i boss, anche se ristretti al 41 bis, riescano a comunicare con l’esterno, a riorganizzare i clan, a tramare, a passarsi messaggi anche tra di loro attraverso una penalista dell’Agrigentino, divenuta – secondo quanto emerso dalle indagini – organizzatrice del mandamento mafioso di Canicatti’, che utilizzava anche il proprio studio legale per i summit.
Contestati i reati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione ed altri reati aggravati, poiché commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose.
Gli inquirenti hanno accertato che l’avvocatessa, Angela Porcello, compagna di un mafioso, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan.
Rassicurati dall’avvocato sulla impossibilità di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate (Pa) e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra.
Le centinaia di ore di intercettazione disposte dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni. Uno spaccato prezioso che ha portato all’identificazione di personaggi ignoti agli inquirenti e di boss antichi ancora operativi.
C’è anche uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Livatino, Antonio Gallea, fra i boss a capo della stidda agrigentina fermati questa mattina nell’operazione dei Ros. Gallea, dopo 25 anni di carcere, aveva ottenuto nel 2015 la semilibertà, condizione che avrebbe sfruttato per riorganizzare la Stidda e tornare a operare sul territorio.