Due lunghissime ore per un’audizione davanti alla Commissione Nazionale Antimafia, che si è tenuta il 17 novembre scorso, che ricostruisce, passo dopo passo, il contesto in cui è maturata la morte del maresciallo del Ros Antonino Lombardo, avvenuta in circostanze che per i familiari non sono chiare la sera del 4 marzo 1995. Una morte accanto alla quale si scrive la parola “suicidio”, senza avere però evidenze tecnico-scientifiche – come dice il figlio Fabio in audizione – che di questo si sia trattato. Solo verità. Questo chiedono i figli, che hanno fatto periziare la lettera di addio trovata sul sedile dell’auto dove fu trovato morto il carabiniere. Non sarebbe di Lombardo, secondo la perizia dell’esperta Valentina Pierro.
Ci sarebbero dei buchi nelle ultime ore di vita del fidatissimo di Paolo Borsellino, che per anni comandó la stazione di Terrasini dove il magistrato, incontrava e interrogava testimoni di giustizia e pentiti. Dove furono portate, non appena decisero di testimoniare contro la criminalità organizzata, Rita Atria e Piera Aiello, oggi deputata del Gruppo Misto e componente della stessa commissione antimafia, che durante l’audizione ha ricordato il suo primo incontro con Borsellino avvenuto proprio insieme ad Antonino Lombardo. Si è ricostruita la figura del maresciallo attraverso il racconto dei figli Fabio e Rossella, un investigatore di indubbie doti, che aveva dato indicazioni precise già a fine luglio 1992 sul covo e i fiancheggiatori di Riina e che aveva l’obiettivo di arrestare i mandanti dell’omicidio di Paolo Borsellino. Secondo quanto dichiarato in commissione antimafia dai figli, ci sarebbero omissioni, stranezze e ritardi in quella prima fase di indagine avviata subito dopo la sua morte, quando non fu disposta l’autopsia sul corpo: un’ogiva, senza nessuna deformazione tipica dopo l’esplosione e il passaggio attraverso un corpo, posizionata dietro la vettura e non accanto, dove logicamente avrebbe dovuto essere in base alla posizione del corpo di Lombardo, trovato morto con un colpo di pistola alla tempia sul sedile della sua auto, all’interno della caserma Bonsignore di Palermo. La posizione del corpo che non convince i familiari, con il braccio in grembo e il dito ancora sul grilletto. Si parla di esami superficiali e di un buco di almeno un’ora e mezza nella ricostruzione delle ore antecedenti la morte, durante il quale nessuno sa dire se il carabiniere abbia incontrato qualcuno e perché. Un cappotto di montone, che secondo un testimone il maresciallo indossava la sera del 4 marzo, quando intorno alle 20 arrivò in caserma e restituito, invece, ai familiari, al comando del Ros, secondo quanto narrato da Fabio Lombardo. E poi il colpo di pistola che udì un solo un testimone.
Un uomo lasciato solo. Di questo dramma parlano Fabio e Rossella Lombardo. Un carabiniere nel mirino di Giovanni Brusca, al quale il maresciallo dava la caccia. Un investigatore che aveva incontrato, pochi mesi prima della sua morte – a dicembre e ottobre del ‘94 – il boss Gaetano Badalamenti, detenuto in America per essere stato condannato per traffico internazionale di droga. Il boss del gruppo dei perdenti nella seconda guerra di mafia degli anni ‘80, doveva tornare in Italia per testimoniare al processo per la morte del giornalista Mino Pecorelli. Lo aveva convinto Lombardo e sarebbe tornato solo se accompagnato da Lombardo – come riferisce il figlio. Ma non solo. Badalamenti, secondo il racconto di Fabio Lombardo, che non sarebbe tornato in Italia da collaboratore di giustizia, voleva dire la sua anche su altre vicende, in un confronto con Tommaso Buscetta. Tra queste anche qualcosa su Giulio Andreotti e sulla scomparsa di Mauro De Mauro. Una vicenda, quest’ultima, sulla quale ancora oggi a 51 anni dalla sparizione, non ci sono risposte chiare ed univoche circa il movente e le modalità con cui il cronista de “L’Ora” fu fatto sparire. Un rapimento che avviene esattamente nel momento in cui Badalamenti era un boss di calibro indiscusso e avviava la ricostituzione della “commissione” di Cosa Nostra. Il viaggio fu però annullato. Durante una trasmissione tv di Michele Santoro, Leoluca Orlando e l’allora sindaco di Terrasini Manlio Mele, il 23 febbraio ’95 pur senza nominarlo esplicitamente, accusarono il carabiniere di essere colluso con Cosa Nostra. Nel territorio di Terrasini il 26 febbraio dello stesso anno viene fatto trovare il cadavere di Francesco Brugnano, incaprettato. L’uomo era un confidente di Lombardo. Proprio la sera dell’omicidio, Brugnano avrebbe dovuto dare a Lombardo indicazioni utili a trovare Giovanni Brusca. Amareggiato ma non sconfitto, Lombardo – raccontano i figli – aveva chiesto di essere trasferito in un’ambasciata all’estero. Richiesta non accolta. Anzi, a Lombardo venne affidato il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi per essere accompagnato ad un processo a Milano. Data di rientro dal viaggio, 4 marzo 1995, il giorno della morte.
Degli incontri di Lombardo con Badalamenti, rimane un verbale che mancherebbe di alcune parti, secondo quanto riferito in commissione antimafia. Il maresciallo dei Ros ne aveva nascosto una copia a Mistretta, al sicuro, nella casa paterna di via Azzurro, dove Lombardo è cresciuto, ritrovata successivamente dal figlio Fabio e riconsegnata agli inquirenti. Le registrazioni di quei colloqui sono state distrutte, ma non ci sarebbe verbale, come racconta il figlio dell’investigatore. Sparite, come l’arma di ordinanza ritrovata in mano a Lombardo e come l’ogiva repertata sul posto. Non si troverebbero, riferisce il figlio, che ha chiesto di poterle avere per far eseguire delle perizie. Come il faldone custodito in caserma a Terrasini, che lo stesso Lombardo aveva indicato alla moglie contenere “i motivi della sua morte”. Lo avrebbe preso, senza alcuna autorizzazione dei familiari, un appuntato dei Carabinieri, di cui Fabio Lombardo fa nome e cognome, sembra consegnandolo agli inquirenti. E lo stesso appuntato, senza mandato, avrebbe anche chiesto alla moglie del carabiniere di accedere ai movimenti del conto corrente bancario di Lombardo. Nel racconto di Fabio Lombardo di fronte la commissione antimafia, c’è anche un togato che aveva un fascicolo riguardante parte della vicenda. Avrebbe affermato di aver ricevuto pressioni per archiviare l’inchiesta, proprio al figlio del maresciallo. Due le inchieste avviate dalla magistratura sulla morte del carabiniere e archiviate. L’ultima nel 2015. Fabio Lombardo racconta di aver recentemente chiesto in Procura di poter avere gli atti dell’ultima inchiesta. Gli sarebbe stato risposto che “un magistrato si sarebbe portato via il fascicolo”.
Ma ci sono anche parti secretate nelle testimonianze dei figli di Lombardo. Una riguarda alcune fasi della ricostruzione di quanto accaduto la sera della morte del sottufficiale del Ros. Un’altra parte riguarda, invece, la testimonianza di Rossella Lombardo, oscurata quando la donna inizia a narrare delle modalità con cui i Carabinieri sarebbero andati, nelle ore immediatamente successive alla sua morte (intorno all’una di notte del 5 marzo) a casa del maresciallo a cercare documenti appartenenti all’investigatore. Ancora secretate le risposte ad una domanda di Pietro Grasso e poi sia le domande di Piera Aiello che le riposte fornite. Resta da capire se le persone chiamate in causa confermeranno o smentiranno il racconto dei fratelli Lombardo e se gli atti, dopo che la perizia calligrafica di parte sulla lettera di addio trovata sul sedile dell’auto ne mette in dubbio l’autenticità, arriveranno di nuovo sul tavolo degli inquirenti, per diventare il “caso Lombardo”.