E’ stato l’incendio doloso della sala ricevimenti “Santorini” di Monforte San Giorgio avvenuto il 29 dicembre 2017 a far scattare le indagini che hanno acceso i riflettori sui presunti nuovi assetti ed interessi economici della criminalità organizzata sulla costa tirrenica.
Tre i filoni delle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto della Procura distrettuale antimafia messinese Vito Di Giorgio e dai tre sostituti della Dda Fabrizio Monaco, Antonella Fradà e Francesco Massara. Come autori materiali del rogo furono identificati i giovani Luca Bertè e Mirko Lupo, ma le indagini avrebbero svelato come l’incendio fosse riconducibile alla criminalità organizzata che avrebbe ostacolato così la concorrenza nella gestione dei locali notturni di Milazzo e dei comuni dell’hinterland, monopolizzando i servizi di sicurezza.
In questo ambito emerge la figura di Salvatore Gatto, che secondo gli inquirenti, si stava facendo spazio nel panorama criminale milazzese. Approfittando dell’assenza degli esponenti di vertice della famiglia barcellonese, che erano in carcere, Gatto avrebbe imposto il servizio di sicurezza nei locali notturni, operando per conto dell’associazione mafiosa una serie di estorsioni, spendendo il nome di Carmelo Vito Foti. Secondo le indagini degli inquirenti proprio quest’ultimo, scarcerato nel dicembre 2018, avrebbe assunto il controllo della maggior parte delle attività dell’organizzazione criminale, riorganizzando le estorsioni. Subito dopo anche Mariano Foti e Ottavio Imbesi, si sarebbero reinseriti nel circuito degli affari della famiglia, trovando un accordo con Carmelo Vito Foti e mettendo da parte antichi dissapori.
I tre avrebbero comunicato tra loro attraverso un insospettabile tabaccaio, Rosario De Pasquale, deceduto nel corso delle indagini. Obiettivo dei tre imporre una regia unica alle attività illecite e ripristinare la cassa comune, la c.d. “bacinella” dove far confluire gli introiti, che in parte servivano anche al sostentamento dei detenuti.
Alla morte di Imbesi la gestione degli affari del clan sarebbe rimasta nelle mani di Carmelo Vito Foti e Mariano Foti. La forza intimidatrice del gruppo si evincerebbe dal fatto che nessuna delle vittime, terrorizzate. si sarebbe mai rivolta alle forze dell’ordine per denunciare. Il clan, che aveva anche la disponibilità di armi, persino da guerra, controllava un giro di prostituzione ed un grosso traffico di droga e bische clandestine.