Uscirà dal carcere Giovanni Sutera, il sessantenne di origine siciliana, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un gioielliere fiorentino e di quello della 17enne Graziella Campagna, uccisa dalla mafia a Villafranca Tirrena nel 1985.
Graziella Campagna venne uccisa perché trovò un’agendina nella giacca di un mafioso, Gerlando Alberti Jr, che era andato a portare a lavare i suoi vestiti nella lavanderia in cui la ragazza lavorava.
Forse Graziella lesse qualcosa, forse ne parlò con qualcuno. Pochi giorni dopo, mentre aspettava il bus alla fermata, a fine turno di lavoro, venne prelevata e infilata in una macchina, portata in una cava fuori Messina e freddata a colpi di pistola. Il corpo venne ritrovato due giorni dopo. Alberti, era un boss mafioso di cui Sutera, che si è sempre dichiarato innocente, sarebbe stato braccio destro. La condanna all’ergastolo per i due divenne definitiva nel 2009 (dopo 24 anni di vicenda processuale macchiata da depistaggi e coperture istituzionali).
Poi, lasciato il carcere nel 2015, godendo del regime di libertà condizionale, Sutera aprì un bar a Firenze e nel 2018 venne arrestato in un’inchiesta su un presunto traffico internazionale di stupefacenti.
Dopo due anni fu però assolto dall’accusa.
Adesso Sutera ha chiesto e ottenuto la semilibertà. Durante la giornata il sessantenne potrà uscire dal carcere per andare a fare volontariato presso un’associazione di Firenze che fornisce assistenza agli anziani, mentre la sera dovrà tornare in cella.
“Questo Stato facendo così spinge le persone a farsi giustizia da sé, non a rivolgersi alla legge. Se le persone si rendono conto che non è possibile ottenere giustizia si sentono impotenti. Non mi sento rappresentato da questo Stato”. A dirlo è Pietro Campagna, fratello di Graziella, poco dopo aver appreso la notizia.
Fu proprio il fratello a riconoscere il corpo della 17enne che era scomparsa il 12 dicembre. Il cadavere venne ritrovato dopo due giorni a Forte Campone, vicino a Villafranca Tirrena,
Aveva solo 17 anni. La sua unica colpa era quella di essere stata testimone involontaria della scoperta di una falsa identità di un latitante. Con la sua uccisione la mafia dimostrò di potere uccidere senza guardare in faccia nessuno, di non avere più, come si diceva un tempo, codici d’onore e regole per cui non si uccidevano le donne e i bambini.
“Mi vergogno di essere italiano, hanno ucciso un’altra volta mia sorella”, ha concluso il fratello Pietro.