E’ diventata definitiva la condanna emessa il 21 aprile 2021 dalla corte d’appello di Messina a 2 anni e 4 mesi di reclusione per il medico Maria Gabriella Dongarrà, nel processo per la morte della piccola Sharon Manasseri, di due anni e mezzo. E’ stato infatti rigettato il ricorso in Cassazione, che era stato presentato dal medico, difeso dagli avvocati Peppino Spinnato ed Antonio Miriello.
La Corte di Appello di Messina, presidente Blatti, a latere Sagone e Cannizzaro, aveva già ribadito quanto già deciso nel processo di primo grado l’11 settembre 2020 dal tribunale di Patti.
In primo grado il giudice monocratico del tribunale di Patti Maria Luisa Gullino aveva disposto anche il risarcimento danni da liquidarsi in separata sede alle parti civili, costituite con gli avvocati Giuseppe Serafino e Salvatore Caputo e per ognuna una provvisionale di 50 mila euro. Decisioni che sono state confermate in appello e che ora anche queste diventano definitive.
I fatti in contestazione sono accaduti il 18 dicembre 2014 all’ospedale di Sant’Agata di Militello. Al medico in servizio all’ospedale di Sant’Agata Militello, quale responsabile del reparto di pediatria, si contesta omicidio colposo, perché, secondo l’accusa non avrebbe osservato i protocolli medici in materia.
Per il giudice di primo grado, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, deve ritenersi provata la responsabilità dell’imputata del reato contestato e sussiste il nesso di causalità tra la sua condotta e l’evento tragico. Nelle motivazioni sono state ricostruite le fasi del processo e le patologie affette dalla bambina a casa, i contatti con alcuni pediatri, in avanti il ricovero al pronto soccorso dell’ospedale santagatese e poi nel reparto di pediatria dello stesso ospedale, i contatti con l’ospedale dei bambini di Palermo ed il Policlinico Universitario di Palermo, le terapie effettuate in reparto fino alla morte della piccola.
In appello, i giudici messinesi hanno confermato in toto la sentenza emessa in primo grado, rigettando le richieste proposte dalla difesa. L’ultimo in atto è stato in Cassazione con il rigetto del ricorso proposto dall’imputata. Ora la sentenza di condanna è divenuta definitiva.