La prima sezione penale del Tribunale di Milano ha assolto “perché il fatto non sussiste” un ex operaio di San Marco d’Alunzio che era imputato di aver chiesto l’indennizzo a un’assicurazione per le gravissime lesioni riportate in seguito a un incidente stradale avvenuto il 17 giugno del 2017 ad Alcara Li Fusi.
L’uomo, oggi 42enne, scendendo dall’auto sulla quale viaggiava da passeggero, è stato spinto accidentalmente dallo sportello della vettura ancora in movimento cadendo giù da un muretto e precipitando nel vuoto, di spalle, su una pietraia dopo un volo di due metri e mezzo. C. S., all’epoca un omone di 140 kg (affetto da un’importante obesità) alto 1,87, riportò la frattura di una vertebra lombare, lesione che gli ha procurato un’invalidità al 70% e l’impossibilità a lavorare.
L’assicurazione Amissima, però, gli ha contestato “l’incompatibilità dei danni subiti con l’evento denunciato” e ha querelato C. S. colpevole secondo la società di aver denunciato un sinistro in realtà non avvenuto e questo allo scopo di incassare il risarcimento in maniera illegittima. C. S., inoltre, per l’assicurazione non sarebbe caduto sulla pietraia perché sbilanciato dalla portiera dell’auto, ma da un inesistente camioncino.
L’uomo era stato chiamato a rispondere dell’art. 642 comma 2 del codice penale (“Fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona”) rischiando oltre la beffa del mancato risarcimento anche una condanna a 8 mesi di reclusione chiesta dal pm.
Ma il giudice monocratico del Tribunale di Milano Elisabetta Santini ha dato ragione alla tesi difensiva argomentata dal legale di C. S. – l’avvocato Massimiliano Fabio del Foro di Patti – il quale ha dimostrato documentalmente, nonchè con i testi e i consulenti nominati, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, come la Procura di Milano si fosse basata solo sugli accertamenti di parte eseguiti dai fiduciari della compagnia di assicurazione.
Inoltre, non è mai stato sentito il perito che ha redatto la relazione sul sinistro, non è mai stato chiesto l’esame di alcun teste, nemmeno del querelante, e l’accusa si è basata su perizie medico e tecnico – ricostruttive dell’incidente prodotte e commissionate unilateralmente dalla stessa compagnia assicurativa.
Alla fine C. S. è stato assolto “perché il fatto non sussiste” e la sentenza è stata depositata in questi giorni. Pende, invece, davanti al Tribunale di Patti, la causa civile per il risarcimento per il quale la parte lesa ha chiesto poco più di 2 milioni e mezzo di euro.
“Abbiamo dimostrato come la società di assicurazione – ha spiegato l’avvocato Massimiliano Fabio – abbia presentato, peraltro fuori tempo, una querela pretestuosa allegando una documentazione parziale e relazioni tecniche redatte da professionisti fiduciari sulla base di dati incompleti, costringendo il mio assistito a sostenere i disagi di un lungo e dispendioso procedimento a più di mille chilometri di distanza, vissuto come un’ingiustizia e una vera e propria beffa, anche per le condizioni di salute precarie”.