Avrebbe inseguito, insieme ad un complice, una donna che viaggiava in auto sulla Occidentale Etnea, costringendola a fermarsi una prima volta per consegnare del denaro e, ripresa la marcia, una seconda volta per sottrarle il telefonino. E’ quanto ricostruito dai Carabinieri di Cesarò, che lo scorso 23 luglio hanno arrestato il 33enne Gianluca Longhitano, brontese, su disposizione delle Procura di Catania.
I militari dell’arma della Compagnia di Santo Stefano di Camastra, guidata dal capitano Adolfo Donatiello, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere, emessa il 22 luglio dal G.I.P. del Tribunale etneo, nei confronti del giovane indagato per estorsione, aggravata dall’aver perpetrato il delitto in riunione con altro soggetto, allo stato ignoto, e rapina, aggravata dalla presenza di circostanze atte ad ostacolare la privata difesa e dall’aver commesso il fatto in più persone riunite.
I fatti sarebbero avvenuti lo scorso 20 maggio, nel tratto della SS 284 che ricade nel comune di Bronte e denunciati dalla vittima, una automobilista, ai carabinieri di Cesarò, che hanno avviato le indagini, coordinate dalla procura di Catania. Le investigazioni, scattate immediatamente, avrebbero permesso non solo di ricostruire compiutamente la dinamica dei fatti, ma anche di individuare in Longhitano – che ha respinto con forza tutte le contestazioni mosse dalla Procura – uno degli autori autori dei reati, mentresi indaga per rintracciare il presunto complice. Dalle investigazioni sarebbe emerso che, nella mattina dello scorso 20 maggio, mentre la vittima stava percorrendo la strada statale 284 in direzione Catania, sarebbe stata prima inseguita da un veicolo con due individui a bordo, i quali, accostandosi pericolosamente al suo mezzo, l’avrebbero costretta a fermarsi e, con minaccia, a consegnare la somma di € 50,00.
I due malviventi, dopo aver sottratto il denaro alla donna, una volta ripresa la marcia dei mezzi, avrebbero continuato ad inseguirla, costringendola a fermarsi di nuovo in un luogo isolato, dove si sarebbero impossessati dello smartphone della vittima, per impedirle di usare eventuali foto che la stessa poteva aver scattato durante l’azione precedente. Un quadro indiziario per il quale, il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero titolare del relativo fascicolo d’indagine, ha disposto, nei confronti dell’indagato, l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere