I genitori di Stefano vogliono solo la verità, nulla di più. Voglio dare un senso, per quanto drammaticamente difficile, alla scomparsa del loro figlio appena diciottenne.
Non cercano vendette, non sono a caccia di risarcimenti: hanno bisogno di verità perché la devono alla memoria del loro familiare morto ad appena 18 anni.
Ma quella verità, quasi certamente, non l’avranno perché è iniziato il terribile countdown verso a prescrizione. In cinque anni, infatti, la loro richiesta di sapere cosa sia successo il 2 giugno del 2013, si è sempre infranta sul “muro di gomma” della Giustizia.
La storia è quella di Stefano Terranova, giovane di Sant’Angelo di Brolo e studente presso il liceo Lucio Piccolo di Capo d’Orlando.
Stefano è morto a causa di quella che sembra essere una grave imperizia verificatasi in un centro di eccellenza della Sanità Italiana l’Istituto Neurologico ” Carlo Besta” di Milano, nella patria dell’eccellenza sanitaria, in Lombardia. La morte è avvenuta a Bergamo il 2 giugno 2013 ma in realtà i sanitari di Bergamo non hanno avuto alcun ruolo in questa vicenda.
Stefano Terranova infatti era stato ricoverato al Besta per essere operato in urgenza di un angioma cavernoso al cervello scoperto qualche giorno prima dopo un malore a scuola.
Al Besta è uscito indenne dalla sala operatoria essendo il chirurgo riuscito a estirpare l’angioma.
La vita era salva a quel punto (lo affermano alcune perizie) e già si pensava alla riabilitazione motoria.
Solo che naturalmente, dopo l’intervento, il ragazzo è stato ricoverato per venti giorni presso il Besta nel reparto di anestesia e rianimazione. Qui, a seguito di una tracheotomia si sarebbe verificata la lesione della trachea (descritta in cartella clinica). Da lì i giorni sono passati e nessuno dei medici esperti di anestesia ha saputo individuare questa fistola che non è stata vista nelle varie TAC cui il ragazzo è stato sottoposto. Nessuno né al Besta né al centro tumori di Milano è stato in grado di individuarla e così mentre il cervello di Stefano era salvo una fistola divenuta di 3cm (un buco praticamente) lo ha portato alla morte dopo poco meno di un mese.
Il lutto per la perdita di un figlio, in questi anni, si è però aggravato dalla mancanza di risposte da parte dell’inchiesta nata dopo il decesso. Inchiesta giunta alla terza richiesta di archiviazione. Accanimento dei genitori, si penserà, invece no.
Le due precedenti richieste di archiviare il procedimento, infatti, sono stati fermate dallo stesso GIP di Milano che hanno rigettano le istanze, trasmettendo a Bergamo per ragioni di competenza (dopo 4 anni). In mezzo decine di migliaia di pagine, anche del Tribunale, in cui emergono errori e censure sull’operato dei medici. Tutto, intorno, invece, solo silenzi dei media, fascicoli che restano per mesi nei cassetti e solitudine per i genitori di Stefano che non vogliono condanne o vendette.
Hanno diritto all’apertura di un processo per sapere, nel rispetto del contraddittorio, se sono stati fatti errori.
Per Stefano e per altri esseri umani che si rivolgono alla sanità.