Si è insediato a Bruxelles il nuovo Comitato europeo delle Regioni, l’organismo di consultazione composto da 350 rappresentanti degli enti locali dell’Unione europea. I componenti siciliani sono il presidente della Regione Nello Musumeci, il suo vice Gaetano Armao, il sindaco di Catania Salvo Pogliese e Enzo Bianco, consigliere comunale della Città etnea. Per Musumeci è stato un ritorno a Bruxelles dopo l’esperienza di europarlamentare del 2009.
Questo quanto riportato sul sito ufficiale delle Ragione Siciliana.
“Quando nel 2009 ho lasciato il Parlamento europeo non pensavo di tornarci con un ruolo istituzionale, pensavo di tornarci magari come turista. Quest’aula mi riconduce a una idea che è quella secondo cui è impossibile parlare di territori, crescita e sviluppo senza partire dall’Europa. Sono un convinto europeista”, ha spiegato Musumeci al termine della prima giornata di lavori. “Sono certo che possiamo fare squadra“, ha detto parlando degli altri componenti siciliani del Cdr, “faccio parte anche della Commissione che tratta di trasporti e per me diventa un chiodo fisso la continuità territoriale. Pensare il trasporto aereo come un lusso o un capriccio è una follia. Porremo pesantemente questo problema, per un’Isola il livello di accessibilità è ridotto rispetto alle altre Regioni di Italia“.
Il presidente del Cdr uscente Karl-Heinz Lambertz ha parlato nel suo intervento di chiusura, prima di dare l’avvio ai lavori per l’elezione dei nuovi vertici, di un organismo che sia capace di portare le istanze degli enti locali nel cuore dell’Europa. In Sicilia un tema è quello dello spopolamento. “Lo spopolamento“, ha spiegato Musumeci, “è un fenomeno europeo che colpisce anche i Paesi più progrediti. In ogni realtà ci sono zone deboli e zone forti. L’entroterra siciliano quando l’economia agricola ha subito pesanti colpi a favore del comparto dei servizi, del commercio e dell’industria è diventato una zona vulnerabile. Ma ce ne accorgiamo di più adesso perchè le culle sono vuote. Ma se confrontiamo il flusso migratorio del primo Novecento e del secondo dopoguerra ci rendiamo conto come il flusso di manodopera non è assolutamente un fatto nuovo“. Per bloccare il fenomeno “non c’è una ricetta, bisogna dare una speranza a chi oggi vive nelle aree depresse dicendo che è possibile un futuro diverso”.