Sicilia – I posti di lavoro offerti sono pochi e i disoccupati tanti. Eppure, le imprese siciliane fanno fatica a trovare un potenziale assunto su quattro. Lo affermano i dati Anpal elaborati dalla Cgia di Mestre. A gennaio, le aziende hanno cercato nella regione 19250 posti. Il 26 per cento è stato di “difficile reperimento”. Una quota molto inferiore alla media italiana, che sfiora il 33 per cento.
Il dato siciliano va analizzato, perché è la combinazione di più fattori. Il primo è la penuria di posti disponibili.
Le quasi 20000 offerte disponibili pongono la Sicilia poco al di sopra della Puglia (che però ha una popolazione inferiore) ma molto al di sotto della Campania (dove i posti disponibili sono più di 31 mila). Per non parlare delle regioni del Nord come Piemonte ed Emilia Romagna dove le offerte risultano il doppio.
C’è poi un’anomalia che accomuna tutte le regioni del Sud. In Italia, la principale difficoltà è costituita dalla mancanza di candidati. Nel 14 per cento, invece, i candidati ci sono ma non sono abbastanza preparati.
Questo equilibrio, in Sicilia è sovvertito: solo in un caso su dieci le imprese non trovano candidati. Capita più spesso che chi si presenta, pur avendo (sulla carta) le competenze giuste, non sia abbastanza preparato.
Nelle province più grandi (Palermo, Catania e Messina), la Cgia ha indicato anche quali sono i lavoratori che è più difficile rintracciare. Informatici, cuochi e camerieri.
Mentre quelli più ricercati sono tecnici alle vendite, commessi nei negozi e conduttori di mezzi di trasporto. Proprio quest’ultima categoria è stata evidenziata dalla Cgia come il caso più solare del paradosso che affianca elevata disoccupazione a imprese che non trovano lavoratori, sia perché il costo per ottenere la patente C o D varia tra i 2.500 e i 3 mila euro, sia perché è una professione estremamente faticosa.
C’è poi un paradosso nel paradosso: in Sicilia un lavoratore su quattro, pur di lavorare, ha accettato un posto meno qualificato rispetto al suo titolo di studio.
Il problema di questo “disallineamento” non ha effetti solo sul singolo occupato ma può avere ripercussioni sistemiche. Perché, spiega la Cgia, “provoca un forte disinteresse e una scarsa motivazione per il proprio lavoro, che ha delle ricadute molto negative sulla produttività del sistema economico”.